CONTRO I VIRUS,I BATTERI E LA TRISTEZZA

domenica 4 marzo 2012

LE MOSSACCE TRATTORIA E LA CULTURA. STEFANO FANTONI : VESPASIANO DA BISTICCI (LOCALITA' DI RIGNANO SULL'ARNO) CHE EBBE LA BOTTEGA DI LIBRAIO-EDITORE IN VIA DEL PROCONSOLO A POCHI METRI DALLA TRATTORIA. SU FACEBOOK DICONO CHE BEN POCO DI LUI SAPPIAMO.MA E' VERO ? DALL'ARCHIVIO STORICO DEL CORRIERE DELLA SERA.

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CORRIERE DELLA SERA
SFIDE Su «liberal» oggi in edicola uno speciale dedicato al mondo dei libri nell' epoca di Internet. Una rivoluzione che può rivelarsi una vittoria o una sconfitta per la carta stampata


EDITORI Noi guardiani nell' era dell' accesso Viviamo nell' epoca dell' accesso: abbiamo la possibilità di accedere a tutto, in qualunque momento. La formula, come si sa, è stata inaugurata da Jeremy Rifkin, e indubbiamente ha il suo fascino. A tal punto che risulta efficace anche per descrivere l' attuale condizione dell' editoria. Così, in un dossier dedicato all' argomento dal bimestrale liberal, oggi in uscita, Massimo Turchetta, direttore editoriale della Mondadori, alla domanda «Che animale è, e che lavoro fa un "direttore editoriale"?», risponde senza mezzi termini: «Credo che rivesta una funzione che assomiglia molto a quella del gatekeeper, del guardiano di accessi». In poche parole, Turchetta prende a prestito la fortunata formula del sociologo americano per ridefinire la funzione dell' editore: «Selezionare ciò che può essere messo a disposizione della comunità...». «Ma lei non si vergogna di fare l' editore?» E' la provocazione di liberal. Risponde Rosaria Carpinelli, direttore editoriale Rizzoli: macché vergogna, il mio lavoro non lo cambierei per nessuna ragione al mondo. «Un libro porta idee, fa sentire meno soli, educa in senso ampio, costruisce ponti ideali col passato e col futuro, nutre la nostra immaginazione»: che cosa c' è di meglio? E Carpinelli non è poi molto distante da Turchetta quando insiste sul «filtro personale che orienta la ricerca e che dà peso e colore all' individuazione di un nome, di una pagina, di un argomento, tra tanti che quotidianamente e ininterrottamente ci vengono proposti». Lo stesso Luigi Brioschi, erede di Spagnol alla Longanesi, vede un futuro in «un certo modo di fare libri, che coincide spesso con l' elaborazione delle proposte più vitali, più interessanti». Il fatto è che se fino a poco tempo fa queste stesse dichiarazioni sembravano pura retorica, oggi, sperimentata l' imponente forza delle nuove tecnologie, si ha l' impressione di una maggiore consapevolezza e di un più acuminato realismo sulle possibilità di sopravvivenza dell' editoria diciamo vecchio stile. Sentiamo per esempio un editore minuscolo come Alberto Castelvecchi: «E' verissimo che gli editori si configurano come guardiani dell' accesso, ma soprattutto rischiano di diventare dei guardiani del copyright, cerberi impegnati a controllare i diritti d' autore. Questa però sarebbe una funzione involutiva. In realtà, l' epoca di Internet offre all' editore inteso nel senso tradizionale, cioè come fornitore di contenuti, nuove e infinite opportunità». Obiezione: ma il consumo non passa più attraverso il libro cartaceo. Dunque? «L' intellettuale di formazione gutenbergiana - continua Castelvecchi - sbaglia quando non riconosce a Internet lo stesso status della carta. Vespasiano da Bisticci, l' ultimo grande produttore di manoscritti, si arrese di fronte all' avanzata della stampa. Disse: io mi ritiro, perché arriva un' altra epoca. Ma avrebbe benissimo potuto continuare, cogliere il cambiamento mettendo a frutto la sua competenza di editore anche nell' era di Gutenberg. Così, oggi l' editore cartaceo troverà i suoi vantaggi purché non si opponga al cambiamento, evitando così che le nicchie si trasformino in loculi». In che modo? «Facendo fruttare la propria esperienza nel publishing e nello scouting, che da sempre sono le due funzioni centrali dell' editore, dalle tavolette di legno al papiro, dalla pergamena alla stampa: inventare le forme di trasmissione e andare a scovare le novità, conservando spessore critico». Bel paradosso. Si pensava che la figura dell' editore fosse in declino, ora si scopre che è il tempo della rinascita. Mauro Bersani, responsabile letterario dell' Einaudi, trova nell' espansione di Internet nuove ragioni ideali per la casa dello Struzzo: «I grandi cambiamenti sul piano della comunicazione hanno sempre comportato la necessità di rinforzare lo spirito critico. Proprio per questo, con la stampa, nel tardo Umanesimo è nata la filologia, che aveva lo scopo di verificare l' attendibilità dei testi: distinguere il vero dal falso. Lo spirito critico, neoilluministico, è stato l' anima tradizionale dell' Einaudi, da Leone Ginzburg a Venturi, da Mila a Dionisotti. La filosofia del dubbio a livello testuale ha prodotto collane filologiche importantissime, come quella curata da Santorre Debenedetti e poi da Contini. Oggi, la massificazione indifferenziata proposta da Internet richiede nuove verifiche, l' esigenza di scegliere e vagliare la qualità dei testi. Negli ultimi anni ha trionfato una fede indistinta, una sorta di new age diffusa a cui affidarsi acriticamente, e non solo sul piano della religione». L' età dell' accesso. Rete come sinonimo di indistinto e di confusione. «Strumento solo apparentemente democratico», aggiunge Ernesto Ferrero, direttore della Fiera del Libro, scrittore ed ex editore, da Mondadori a Comunità, da Garzanti alla lunga militanza einaudiana. «Da un lato, l' editore sempre più ha la funzione di scegliere e di garantire al lettore la qualità delle sue scelte nell' enorme dispersione dei messaggi. Dall' altro lato più che mai deve occuparsi della formazione dei suoi lettori futuri, per compensare le grandi lacune dello Stato. Perché, come dice il titolo del nuovo libro di Gallino, globalizzazione significa disuguaglianza». Paolo Di Stefano pdistefano@rcs.it GRANDI FIRME E gli autori sono preoccupati dalla mancanza di progetto Non si amano neppure un po' ; e anche se qualche volta prendono il tè insieme, come racconta Rosaria Carpinelli, mai, o quasi mai, si crea un vero feeling, un' intesa destinata a durare. Sto parlando di editori e scrittori. Che gli editori non siano amati da chi vede respinto un suo manoscritto sembra naturale. Che non lo siano da chi, pubblicato, va incontro a un insuccesso, anche questo si può capire: giacché il fallimento di un progetto comune è un duro banco di prova, per le coppie. Ma che non siano tenuti cari neppure dai pochi che trionfano nelle librerie sfiora l' incomprensibilità. Eppure è proprio così. Il bimestrale liberal ha invitato a parlare di editoria tre scrittori che, in tempi e in misura diversi, hanno conosciuto il gusto inebriante del successo: Andrea Camilleri, Lidia Ravera, Giuseppe Pontiggia; ma nessuno dei tre ne ha approfittato per inviare un bacio, o un gesto carezzevole, al proprio partner, e sponsor, editoriale. Questo ci dice che il rapporto tra scrittori ed editori non è più «sentito», come non è più «sentito» quello tra i calciatori e la loro casacca. A un certo punto dell' intervista, Pontiggia parla dell' Inter: una «squadra scadente», benché «abbia cambiato otto allenatori e ottanta giocatori e abbia speso ottocento miliardi»; e alla domanda di liberal: «È il commento di un tifoso o una considerazione obiettiva?», risponde, con eleganza: «La considerazione di un tifoso interista obiettivo». Forse proprio questo è il modo più sicuro per spiegare la mancanza di amorosità fra gli scrittori e i loro interlocutori nelle case editrici: il prevalere del modello «morattiano» di un' editoria senza entusiasmo, senza amicizia, senza ammirazione reciproca, senza «spogliatoio». Questo non significa che non esistano altri aspetti degni di considerazione. Lidia Ravera, per esempio, addita la mancanza di un «progetto culturale». È vero, nella maggior parte dei casi non c' è; ma in fondo questo potrebbe non essere un male: una casa editrice che pubblichi il meglio che le capita, senza troppo sottoporlo ai filtri di una qualsivoglia correctness (politica, estetica, etc.), svolge una funzione utile e degna di elogio. Semmai l' assenza di un «progetto culturale» risulta esasperante per lo scrittore che presenta un manoscritto e se lo vede rifiutato: perché essere rifiutati da qualcuno che ha una «visione del mondo» o una linea letteraria da difendere non è per niente disonorevole (tutti sappiamo che Gide rifiutò Proust e Vittorini Il Gattopardo di Lampedusa); ma esserlo da un editore senza preclusioni, equivale a venir giudicato privo dei requisiti minimi per la pubblicazione. C' è un altro caso tragico, su cui gli intervistati non si soffermano: quello dello scrittore che viene sì pubblicato, ma poi abbandonato a se stesso, e che va in giro chiedendosi: «Perché mi hanno pubblicato, se poi fanno di tutto perché il pubblico ignori l' uscita, senza dubbio epocale, del mio librino?». Semplice: l' hanno pubblicato perché non volevano rinunziare a un certo spazio sui banconi delle librerie, e ritenevano che il libro in questione potesse occuparlo in maniera non indecorosa; però, per quanto riguarda le vendite, puntavano su altri titoli. Per queste ragioni, e per altre simili, i rapporti tra gli autori, quasi sempre vanitosissimi, e gli editori, che firmano anche loro i libri su copertine e frontespizi, però spesso senza avvertire sino in fondo la responsabilità di quella firma congiunta, sono così spinosi. Giovanni Mariotti mariotti-giovanni@iol.it
Di Stefano Paolo, Mariotti Giovanni
Pagina 35
(7 dicembre 2000) - Corriere della Sera



CORRIERE DELLA SERA
Realizzata in 500 copie l' opera voluta da Federico da MontefeltroLa Bibbia che costò quanto una cattedrale.

«Intendiamo raccogliere in una Biblioteca impossibile i libri più belli del mondo»: con queste parole insolite, pronunciate nel tono basso del manager, l' editore modenese Franco Cosimo Panini butta là il suo programma di riproduzione in facsimile di codici del Rinascimento italiano. Dice anche, di passaggio: «In questo lavoro noi siamo i più bravi». E infine: «L' opera che presentiamo oggi è la più bella delle quattro realizzate finora». Parla nella Sala dei Cento Giorni, il luogo più sontuoso del romano Palazzo della Cancelleria, le cui pareti somigliano alle pagine miniate dei suoi «codici». L' ascoltano cardinali e bibliofili, ambasciatori e storici e nessuno l' accusa di immodestia, perché tutti sono come incantati dall' avere appena sfogliato, entrando nella sala, La Bibbia di Federico da Montefeltro. E per un poco, chi l' ha vista, non fiata. Realizzata a Firenze dalla bottega di Vespasiano da Bisticci per il duca di Urbino, Federico da Montefeltro, fra il 1477 e il 1478, quella grande Bibbia in due volumi è uno dei tesori della Biblioteca Apostolica Vaticana, dove è conservata dal 1657. Due volumi grandi come atlanti (cm 47 X 63), 1100 pagine, quarantadue scene miniate che ornano gli incipit dei libri biblici: uno spettacolo che era un peccato fosse accessibile soltanto a pochi studiosi muniti di alte credenziali. Ora potranno essere in tanti a sfogliarla e toccarla, in questa riproduzione fedelissima: persino la cucitura dei quinterni e dei quaterni è stata realizzata con sette nervi di canapa, come nell' originale, seguendo le tracce dei suoi fori. La Biblioteca Impossibile è il nome della collana che l' editore Panini dedica alla riproduzione dei codici. Questa è la quarta impresa, dopo La Bibbia di Borso d' Este, la Historia Plantarum. L' enciclopedia medica dell' Imperatore Venceslao e Il Libro d' Ore Visconti. Della Bibbia sono state tirate 500 copie e non è stato ancora fissato il prezzo di vendita. Il duca Federico la pagò 30 mila ducati: «Una somma enorme, pari a molti milioni di euro» dice Antonio Paolucci, soprintendente al Polo museale fiorentino, dal momento che dieci ducati era allora il costo di «un buon cavallo da lavoro». Ambrogio Piazzoni, viceprefetto della Biblioteca vaticana, azzarda un' equazione impressionante: «Con trentamila ducati si costruiva una cattedrale». Federico l' aveva voluta così sontuosa - argomenta Paolucci - per porla a fondamento della sua biblioteca, perché «a religione incipit sapientia» (la sapienza ha inizio dalla religione).
Luigi Accattoli
Accattoli Luigi
Pagina 29
(21 marzo 2004) - Corriere della Sera


CORRIERE DELLA SERA


1450, oboli record che vanno a finire in libri
 Tra le istituzioni culturali la Biblioteca Vaticana si segnala come unica ed irripetibile, e la sua storia si intreccia con quella di un papa e del Giubileo del 1450. Tommaso Parentucelli, salito al Soglio di Pietro nel 1447 con il nome di Niccolo V, era un dottissimo umanista ed un appassionato bibliofilo. Ma fu il Giubileo a fornirgli i mezzi materiali per dare contenuti al suo amore per i libri. Vespasiano da Bisticci, attento cronista ed amico di tutti i letterati del suo tempo, ci informa che con il Giubileo venne alla sedia apostolica grandissimo numero di denari e al banco de' Medici (che per il papa assolveva allora alle funzioni oggi proprie dello Ior) la Chiesa pote versare oboli lasciati dai pellegrini per un ammontare di piu di cento migliaia di fiorini. Corrispondevano ad almeno trenta volte l' incasso di un anno normale. Grazie a quell' afflusso di denaro, Niccolo V mando legati per tutte le contrade d' Europa, alla ricerca di codici e manoscritti: Comincio il papa ad edificare piu luoghi e mandare per libri greci e latini, non guardando a prezzo ignuno. Da questa raccolta di testi operata da Niccolo V prese corpo il primo nucleo della Vaticana: Congrego grandissima quantita di libri in ogni faculta , in numero di volumi cinquemila. In verita i cronisti non mancarono di esagerare: i volumi erano ancora appena un migliaio, raccolti in 12 armadi. Al Parentucelli, in quegli anni, si rivolse anche Cosimo dei Medici, per la creazione di quella biblioteca che sarebbe divenuta la celebre Medicea. La consulenza del Papa fu la definizione di un canone bibliografico, primo corpus di volumi indispensabili. Oltre che alla futura biblioteca Vaticana, i fiorini di quel Giubileo servirono anche al successore di Niccolo , Sisto IV, per costruire un nuovo ponte sul Tevere. Ma soprattutto, come scrisse Paolo dello Mastro, giovarono a li banchieri, li speziali et li pentori de' volti santi, che ferno gran tesoro; e alle hostarie e taverne, massine quelle che le fero fare per le strade e in piazza S. Pietro et de S. Janni. (M. Gal.)

Pagina 47
(16 maggio 1999) - Corriere della Sera







3 commenti:

  1. Schiavon E. Venezia.4 marzo 2012 alle ore 19:44

    Vi seguo da un anno e devo ancora farvi i complimenti.Che una trattoria vada a esaminare gli archivi storici è una cosa eccezionale.Ora va bene che Firenze è la culla dell'arte ma la cultura in Italia ha ceduto il posto al calcio e fa piacere leggere su di un blog queste cose.Dovremo venire da Venezia a trovarvi sia per come si mangia (ho un parente impiegato in azienda industriale a Firenze che mi ha detto che fate cibi eccezionali ) ma anche per parlare di queste cose bellissime.

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  2. D'Arrigo G. (prof.lett.)5 marzo 2012 alle ore 12:16

    "Fra i molti personaggi che furono in relazione con la corte di Urbino, un ruolo essenziale svolse il copista e libraio Vespasiano da Bisticci (Bisticci, presso Rignano sull'Arno [Firenze] 1421 - Antella [Firenze] 1498), che nella sua bottega fiorentina allestì codici per numerose importanti biblioteche d'Italia e d'Europa, entrando in contatto con i più famosi intellettuali e signori del suo tempo. Egli contribuì in modo determinante alla costituzione della biblioteca di Federico, ricca di molte migliaia di manoscritti e tale da poter competere per qualità e quantità degli esemplari posseduti con le raccolte della Vaticana e di Oxford. La collezione, iniziata in modo sistematico intorno al 1465 e presto divenuta una formidabile fonte di prestigio per il duca, mirava alla completezza in ambito classico-umanistico, ma non trascurava l'età medievale, e si distingueva per la raffinata eleganza dei manufatti. Vespasiano fu anche autore di una raccolta di Vite, o meglio di "comentari" e "ricordi" riguardanti gli uomini illustri contemporanei, spesso conosciuti di persona. L'opera, che innovò il genere biografico tramite l'adozione della lingua volgare e soprattutto immise al suo interno i succhi della civiltà mercantile, venne portata a termine fra il 1494 e il 1496. Si tratta nel complesso di 103 profili ancora oggi fondamentali per la conoscenza approfondita della civiltà del XV secolo, in particolare fiorentina. Come è ovvio, l'autore rivolge particolare attenzione al formarsi, anche con il suo diretto intervento, delle grandi biblioteche italiane del Quattrocento. Né lesina notizie circa le letture dei personaggi di cui si occupa. Meno scontato è invece lo sguardo che egli rivolge agli atti di liberalità dei principi nei confronti dei letterati, e più in generale l'interesse con il quale coglie e determina con precisione non solo gli atteggiamenti di generosità di potenti e intellettuali, ma anche le dinamiche culturali virtuose innescate dalle scelte dei singoli. Esemplare è in questo senso proprio la biografia di Federico, al cui centro è naturalmente la "libraria" di cui Vespasiano era stato uno dei principali fornitori."

    Da La biblioteca di Federico
    Federico da Montefeltro –Vespasiano da Bisticci
    Le biblioteche italiane
    “Da gli antichi ai moderni”

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  3. Interessantissimo.
    Bravi.E l'archivio storico del Corriere è veramente molto utile.

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